________________________________ Enzo Bellissimo libro, profondo e colto Servignani grande scrittore _______________________________________ Zumurruddu (anobii) Le buie gallerie dell’animo umano Thomas Servignani “di difficile collocazione”, recita la pagina web dell’autore.... ecco, già questo singolare appellativo me lo rende simpatico. Sapete, mi sento anch’io di difficile collocazione, nella vita in generale. Nel retro di copertina si nominano poi “recenti teorie fisiche” di cui l’autore (la voce narrante del romanzo in realtà, ma sarà l’autore stesso?) sarebbe studioso… che combinazione, anche io ho studiato fisica secoli fa - forse in un’altra vita. Ancora: sempre nel retro di copertina possiamo leggere che “Thomas Servignani è irrintracciabile da anni. Si dice che viva in qualche eremo sperduto in montagna”. Come si fa a non essere curiosi? L’argomento del libro è intrigante, prima guerra mondiale, gallerie del Lagazuoi… non ci sono mai stata, ma per combinazione l’anno scorso sono stata sul Pasubio a percorrere la strada delle 52 gallerie, un altro sistema di gallerie artificiali realizzato a scopi militari… e, dopo essermi documentata, ho anche scoperto l’esistenza della galleria del piccolo Lagazuoi, sulle dolomiti, e delle postazioni sulla cengia Martini… I fatti di cui si parla sono quindi reali: gli italiani, nel 1915, si appostarono su un’ampia e protetta cengia su cui rimasero due anni, in quasi totale isolamento. Essendo la cengia inaccessibile e imprendibile, gli austriaci provarono a farla saltare in aria con delle mine inserite in gallerie scavate all’interno della montagna… gli italiani adottarono la stessa strategia scavando una poderosa galleria sotto la cima del Lagazuoi, occupata dal nemico. Eppure l’ambientazione è un po’ un pretesto, lo strenuo lavoro di scavo nella roccia è quasi metafora dell’introspezione profonda cui si può giungere in queste condizioni estreme; si tratta di un testo fatto soprattutto di riflessioni e sensazioni, quelle evocate dal tedio, dall’insensatezza della lunga attesa, dall’assurdità quasi metafisica della situazione - una sospensione della vita che induce torpore, domande senza riposta, pulsioni omicide, visioni... Pensieri allucinati, dunque, al limite del farneticante, ma di certo privi di veli e ipocrisie. Pensieri di un uomo che vive, insieme ai suoi commilitoni, sull’orlo di un baratro reale, ma anche spirituale: quello della follia. Questi pensieri rendono bene l’idea di quale possa essere la reazione di un uomo a un’esperienza di tal genere. Totalmente fuori controllo, totalmente fuori dalla realtà. Ma ingenerano nel lettore un’inquietudine ancora più profonda, perché suggeriscono che la perdita di senso non sia solo un fatto legato alla guerra, ma una caratteristica della vita in generale. La scrittura è densa e ricca, evocativa, profonda e meditata. Richiede attenzione. Anche se è un romanzo breve, ci ho messo alcuni giorni a leggerlo e non vi consiglio di ingoiarlo tutto d’un fiato. Di leggerlo, invece, sì. _______________________________________ Malacorda (anobii) Sarei quasi tentata dalle cinque stelle. Che meraviglia quando anobii funziona come una libreria reale dove, piluccando qua e là, si possono scoprire autori e titoli fino a quel momento sconosciuti. Molti dei libri che ho scovato in questo modo qui su anobii mi hanno dato una bella soddisfazione. Sono capitata per caso in una di quelle pieghe recondite del bellunese, era lo scorso giugno ma sembrava fosse marzo si e no, e così inizio la lettura ripensando alle cime proprio come le ho viste pochi mesi fa. Il cielo buio di queste giornate di ottobre ha fatto il resto del lavoro per introdurmi alla lettura. Leggo dunque della storia della galleria del Piccolo Lagazuoi, prima guerra mondiale - per i riferimenti storici e geografici basta spulciare poche righe su wikipedia. Ma l'aspetto su cui il romanzo si sofferma è quello psicologico e filosofico di coloro che hanno vissuto mesi e anni nel fango, nella neve, stesi in un fosso, oppure, nel caso specifico di questo episodio, aggrappati alla montagna come stambecchi e nascosti nei cunicoli come topi: la follia della guerra, già così ben descritta da Lussu, qui va anche oltre e diventa patologia, diventa isolamento e straniamento dalla realtà, un nirvana fine a sé stesso, l'uomo scava nella montagna mentre la montagna scava dentro il cervello dell'uomo, c'è la riflessiva e forzata immobilità de "Il deserto dei Tartari", c'è un'aura di disperazione e insensatezza e ineluttabilità come in Kafka; questa cosa del dover fare la guerra sembra quasi come se gli alpini fossero lì ad aspettare Godot; poi però il formicaio brulicante di piccoli soldatini mi ha fatto pensare anche alle Sturmtruppen di Bonvi, con il comma 22, e la patria che si serve facendo la guardia a un bidone di benzina, e scavare una trincea per poi riempirla di nuovo e così via all'infinito… sì, lo so che ho citato autori e opere completamente diversi tra loro, ma in effetti questo "Nella pietra" mi pare proprio come un'opera unica nel suo genere e per inquadrarla occorrono coordinate fuori dal comune. Raccontato in buona parte in prima persona plurale, con un tono piacevolmente pacato, con un discorso ricco di aggettivi e metafore e similitudini, con qualche nota ironica e qualche passo poetico, scorre notevolmente bene. L'amore per la montagna e per la natura è ben trasmesso; la discesa negli inferi della follia collettiva e del dubbio circa il significato dell'esistenza umana è abilmente trasformata in un'avvincente avventura. Consigliatissimo. "Non c'è modo, per quanto ne so, di individuare un limite tra la follia e la libertà." "Solo l'autentica libertà, che non può essere altro che solitudine e vuoto, e angoscia e assenza di affetti, conduce al sublime; non è lecito dirlo, non si può osare neppure di pensarlo, ma la condivisione sfalda la verità e la offusca senza rimedio." "Forse era per questo che sentivo così forte il richiamo della galleria, perché era l'unico luogo, mi forniva la sola occasione nella quale potessi realizzare la mia residua umanità; mi consentiva di comprendere che ero ancora in grado di provare nostalgia e tenerezza, che ero ancora un individuo cosciente." _______________________________________ Peppe Scopri la galleria che è in te In un claustrofobico immaginario, un'intera montagna opprime l'animo del protagonista di queste singolarissime pagine, mettendolo impietosamente a nudo di fronte a se stesso, ponendo gli inquietanti interrogativi universali da lui in precedenza abilmente repressi e occultati durante la vita civile. Tirato a forza fuori dal mondo, recluso su un ciglio di roccia a simboleggiare la propria deliberata autoesclusione, il "tenentino del regio esercito" assiste sgomento allo sgretolarsi delle ideali linee di protezione, delle trincee sagacemente scavate intorno a se stesso... può l'esperienza umana ridursi a solo pensiero, o deve necessariamente divenire anche azione? Potentissima indagine psicologica, raffinata invenzione letteraria, lo scavo della galleria è un morbo che erode tanto la fredda roccia quanto il fragile equilibrio mentale dei più cerebrali tra i commilitoni, tutti null'altro che terribili specchi nei quali egli drammaticamente si riconosce e si denuncia, in bilico su un pericoloso baratro onirico che rischia a ogni momento di precipitarlo in un'alienazione senza ritorno. Cadute le convinzioni, perduta ogni difesa, costretto al confronto con la materia, solo la parola rimane come ultimo baluardo della propria incontaminata purezza, di una vita intesa esclusivamente come estetica e contemplazione, sia essa della volta celeste o delle leggi universali che ne regolano il moto, espresse nell'austero linguaggio della matematica. Ecco che, dal blocco unico del Verbo, l'autore estrae con minuziosa precisione ogni singolo prezioso termine, al pari di quanto si sta facendo con la montagna: la risposta è nella pietra, la redenzione nella parola. _______________________________________ Rosaria che bella scoperta, davvero. peccato che non sia più conosciuto l'autore che meriterebbe _______________________________________ Ada La responsabilità della vita Gran bel libro, complimenti a Parimpari per la segnalazione! Il contesto della guerra in montagna, anche se descritta molto bene (si vede che l'autore conosce quei posti a menadito, e così pure è valida l'ambientazione storica del periodo) risulta in effetti un pretesto per svolgere un'indagine psicologica notevole, di stampo esistenzialista. Cavoli se è riuscita! In un certo senso, paradossalmente, l'isolamento della guerra in montagna costringe il protagonista a confrontarsi per la prima volta con il mondo esterno, con la vita sociale, che egli aveva sempre in precedenza rifuggito rintanandosi nel guscio delle proprie passioni e dei propri sogni. In fondo lassù, tra il freddo e la paura, ma anche la noia e la consapevolezza dell'inutilità e dell'insensatezza della situazione in cui si trova, lui capisce che è un abbraccio mortale, ancor più della guerra stessa, quello al quale si era concesso durante il periodo prebellico, la sua indolenza e la sua ignavia, il suo scansare ogni minimo problema e ogni confronto con la realtà. E quindi, a guerra finita, piuttosto che sollevato, egli si sente un macigno nell'animo: "E adesso?" Adesso non ha più scuse, si deve gettare nel mondo. _______________________________________ Roberto Paure e riflessioni il libro è ben scritto e spesso sembra quasi di leggere una poesia. Non vengono citate le azioni di guerra vere e proprie, ma innumerevoli riflessioni che fanno emergere le paure che i poveri ragazzi dovevano provare, durante la guerra in alta montagna, dove il pericolo più grosso era dovuto alle mine piazzate dal nemico sotto i tuoi piedi... _______________________________________ Luisa Leggendo questo splendido libro capisci quanto la guerra, anche di posizione, possa disumanizzare gli uomini, portarli alla follia, paralizzare il loro spirito. L’autore ci coinvolge in riflessioni amare, dure, sulla alienazione, sulla perdita del senso della realtà, dell’umanità che un isolamento forzato e violento nella montagna produce. Quegli uomini, quei soldati, sapevano già che quello che stavano facendo non sarebbe servito a nulla, tuttavia eseguono gli ordini e scavano, scavano, e non solo dentro alla montagna ma anche nella loro psiche, fino quasi sull’orlo della pazzia. A volte sognano uno scontro all’aperto, con una rapida morte, ben preferibile ad una attesa lunga, forzata, nel ventre della montagna, chiusi come in una tomba. In questo modo l’uomo rischia proprio di diventare freddo e insensibile come quelle rocce. Chissà se quei soldati che vissero e operarono in quegli anni sulla cengia Martini, scavando il tunnel del piccolo Lagazuoi hanno provato quegli stessi sentimenti e quelle sensazioni che Servignani descrive!! Lo scrittore conosce molto bene quei luoghi, che anche io conosco per averli visitati più volte, e ha voluto celebrarli con un racconto originale, molto corposo e, a mio parere, di non immediata fruizione; anche la montagna ha bisogno di una adeguata preparazione per affrontarla; e soprattutto quel tipo di montagna. La sua scrittura è accurata e colta, così come il suo stile. _______________________________________ Agnes Consigliatissimo. Preso su consiglio di Parimpari, che ringrazio di cuore. Un libro molto bello di autore purtroppo quasi sconosciuto, ma non per questo meno interessante di altri più famosi. Ambientato in montagna, zona Lagazuoi. Si sà che a chi interessa la 1 G. Guerra (ma non ultima, purtroppo), i libri su quest’argomento non bastano mai. Questo in particolare ricorda Remarque per lo stile asciutto e incisivo . Piacerebbe anche a chi ama la montagna, si rimane dolorosamente colpiti dai disastri che le guerre lasciano dietro di sé : non solo agli esseri umani ma anche alla Natura, che non tornerà mai come prima. Scavano una bellissima montagna, consapevoli di fare una fatica inutile, che li porterà quasi sull'orlo della pazzia, al punto da sognare uno scontro all'aperto e una morte veloce piuttosto che rimanere lì con la sensazione di esserci già, nella tomba. Come dice l’Autore : “Non ci sono tragedie, è la vita la tragedia.” e ancora “Non c'è scopo, non voglio esserci più , voglio solo finire giù, sempre più giù” “Allora mi dicevo che sarebbe stato meglio un fronte più animato. Tanto - questo lo davamo tutti per certo – lì ci saremmo crepati comunque. E allora mi dicevo,tanto valeva morire sul campo piuttosto che fare la fine del sorcio lì tra il ghiaccio, e metri di neve e gallerie umide dal silenzio mortale, che presto o tardi, ci sarebbero franate addosso seppellendoci tutti. Ecco, sognavo un bell’attacco in spazio aperto, con le mitragliatrici nemiche che ci falcidiavano dirette , così almeno l’avremmo fatta finita subito in gloria, ci saremmo evitati quella sospensione continua che ci mandava tutti al manicomio“ Consigliato!